Z-cronache

Wanderhome. Ovvero: la perduzione.

 

Sapete cos’è la perduzione?

 
Dieci anni fa vivevo in Svezia. Ci ho vissuto un anno intero, per preparare la mia tesi sull’open-air museum di Skansen. E grazie a quella tesi mi sono laureato in Antropologia Culturale. Perché sì, miei cari amici lettori, io sono un antropologo.
 
Avete idea di quante volte nella mia vita mi sia sentito chiedere “Ma di preciso, che farebbe un antropologo?” Secondo Geertz, padre della disciplina, un antropologo “Scrive”. E forse tutti i torti il buon Geertz non ce li ha. La mia tesi fu apprezzata soprattutto perché scritta bene, piacevole e divertente da leggere. Non lo dico per lodarmi, ma per sottolineare come questo apprezzamento nascondesse in realtà un’evidente irrilevanza accademica. La tesi era del tutto inutile, ma per lo meno non era pallosa come la stragrande maggioranza delle tesi: mi ero concentrato infatti nel raccontare la mia esperienza svedese, descrivendo il museo, la sua collezione e le sue attività sempre in funzione di come le avevo vissute io, come una sorta di diario di viaggio. 
 
Come un antropologo dell’Ottocento, mi ero calato in mezzo a tutti questi biondi indigeni per carpirne i segreti, gli stili di vita, la lingua, i sogni, i riti e i tabù. E da bravo studente quale ero, imparai, ma soprattutto assorbii. 
 
 
Dicevo. Sapete cos’è la perduzione? È un concetto etnografico che indica la capacità di imparare da ciò che ci circonda in maniera inconsapevole, introiettando la realtà, gli usi, i costumi e gli orizzonti di senso di chi vive attorno a noi. Assorbendo, appunto. Quando si viaggia, come turisti, non si ha ne abbastanza tempo ne abbastanza attenzione per mettere in atto questa pratica (che poi di base si mette in atto da sola…). Quando ci si trasferisce stabilmente, non si ha modo di percepire fino in fondo lo stacco tra quello che eravamo e quello che stiamo diventando nel nuovo habitat. Vivere per un periodo lungo altrove, coscienti che prima o poi si potrà tornare alla nostra vita e ai nostri ritmi, aiuta molto a rendersi conto di questo cambiamento, vedendosi mutare in maniera più o meno armonica. 
 

È tipo un odore.

Quando si respira un odore si immettono dentro di noi particelle di quello specifico materiale, senza rendersene realmente conto. La perduzione è il respirare particelle di un’altra cultura, di un’altra società, di un altro orizzonte.
 
Questo è quello che mi auguro possa accadere a ciascuno di voi, miei cari lettori, quando deciderete di partire per un viaggio. E probabilmente, il mutamento più o meno percettibile, il passare del tempo e della vita sulla nostra anima è il segno indelebile che ci viene lasciato dal concetto stesso di viaggio. Tutto questo, mi pare, sia il cuore di Wanderhome, gioco sviluppato dalla Possum Creek Games capitanata da Jay Dragon
 
 

Sì lo so, è un gioco di ruolo.

Picchiatemi. Ma si tratta di un progetto bello, luminoso, aperto. Una visione diversa del roleplay, dove al centro sta l’incontro, il viaggio, la scoperta, l’armonia tra il giocatore, il suo personaggio e lo scorrere del tempo, in game e off game. Animali antropomorfi partono alla ricerca di ciò che ha sconvolto le stagioni, attraversando regioni ignote, pregne di un’antica storia tutta ancora da scrivere. Non c’è un master, non ci sono dadi. Sta a noi costruirci le nostre avventure, il nostro percorso, cercando di imparare il più possibile da coloro che ci circondano. Come in ogni viaggio.
 
Il core book è stato realizzato con la collaborazione di illustratori e grafici da tutto il mondo, con stili e colori molto diversi tra loro, ma perfettamente armonizzati all’idea centrale di “pastoral fantasy”. Cosa vuol dire pastoral fantasy? Beh, date un’occhiata al link della campagna e capirete.
 
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Una cosa mi ha colpito molto di Wanderhome. A differenza di quello che accade di solito, se incontri un serpente antropomorfo non vuol dire automaticamente che sia un tipo poco affidabile, così come un coniglio umanoide contadino non è automaticamente un tipo pacifico e un po’ pauroso. Ognuno è se stesso, ognuno ha la sua storia, la sua parte di realtà, il suo orizzonte. Sta a noi, giocatori o semplicemente persone, avere la pazienza di annusare sufficientemente a lungo per poter assorbire un po’ delle sue particelle. Perché di perduzione, nella nostra vita, non ce n’è mai abbastanza.
 
RIFERIMENTI:
 
Wanderhome
Campagna Kickstarter
 
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Nicola Patti

Suo nonno e i suoi amici si mettevano davanti casa per giocare a briscola fino a notte. Lui voleva giocare con loro. E così è iniziato il suo amore per i card games. E poi giochi da tavolo, giochi di ruolo, giochi di ruolo dal vivo, videogames. Se solo non fosse uno dei peggiori strateghi e tattici sulla faccia della terra, se solo avesse voglia di leggere i regolamenti, se solo non fosse sfigato con i dadi sarebbe un ottimo giocatore. Da sempre sostiene che morire giocando è il secondo miglior modo per morire.

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