Z-cronache

Buru. Ovvero: Cose fatte bene

Timbro letto per voi
 

Già in altre occasioni abbiamo parlato qui su Fustella Rotante della questione relativa all’appropriazione culturale. Si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso nel mondo dei giochi da tavolo e benché negli ultimi anni la soglia di attenzione su questo tema si sia notevolmente alzata, capita ancora che ci ritroviamo tra le mani giochi al limite del discutibile. Per questo sono lieto di portarvi in questo Nikstarter “Buru”, un progetto dietro cui c’è stato un lavoro di rispetto e di rappresentanza sicuramente sopra le media.

L'area del giocatore
L’area del giocatore

C’era una volta Buru

Buru è un gioco per 1-4 giocatori di Stephen Wren, Alex Flagg e Taran Lewis Kratz edito da Crafty Games. E fin qui niente di strano. In realtà il gioco nasce da una collaborazione tra i tre autori e un team di grafici, artisti, sviluppatori che ha aiutato a costruire il progetto nel rispetto della cultura e delle tradizioni a cui si ispira. Buru infatti è ambientato durante l’Impero Majapahit, la talassocrazia che governò in Indonesia tra il XIII e il XVI secolo. E noi e i nostri compagni di avventura siamo catapultati nel pieno dell’Età dell’Oro dell’Impero, nel 1361. Nobili di alto lignaggio, avventurieri e mercanti, ci avventuriamo nell’isola vergine di Buru, nella speranza di guadagnare ricchezze e di conseguenza favore agli occhi degli spiriti, degli anziani e di Hayam Wuruk, il nostro re.

I lavoratori di Buru e le loro azioni
I lavoratori di Buru e le loro azioni

Il flusso di gioco

Nei cinque round di gioco, avremo a disposizione una serie di azioni che faremo svolgere ai nostri cinque Esploratori. Ciascuno di loro avrà un valore da 1 a 5: li posizioneremo negli spazi delle varie azioni mantenendo il numero nascosto. Svolgeremo le azioni in ordine decrescente, dando il vantaggio al giocatore che ha “puntato” il valore più alto. Ovviamente questo darà la possibilità di ottenere effetti più efficaci a coloro che agiranno per primi. Le azioni a disposizione dei giocatori sono: raccolta delle risorse, ottenimento carte con punti vittoria, acquistare lavoratori, attivare i lavoratori. Buru ha le sue aree in cui si svolgono le azioni che rappresentano le zone socialmente rilevanti per la civiltà indonesiana dell’epoca: la spiaggia, il villaggio, la foresta, il lago sacro.

Spiritualità
Spiritualità
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Un lavoro corale

I tre autori si sono rivolti a un artista originario di Java, luogo in cui sorgeva il fulcro dell’Impero Majapahit. Enggar Adirasa, l’artista, è stato uno dei consulenti che ha contribuito alla realizzazione dell’ambientazione, oltre che alla creazione di un artwork ispirato alla tradizione iconografica indonesiana. Oltre ad Adirasa, Wren, Flagg e Lewis Kratz hanno chiesto supporto a Ketchup Games, una casa di sviluppo indonesiana che ha reso possibile la creazione di meccaniche “ispirate” alle dinamiche socioculturali e religiose di quel periodo. Rendere omaggio agli spiriti e agli antenati, i ruoli all’interno della comunità, i metodi di accrescimento del proprio status: una ricerca storica ed etnografica di tutto rispetto. In più il gioco sembra davvero interessante, compresa l’espansione e la modalità per il quinto giocatore.

La campagna di Buru

La campagna di Buru si chiuderà tra pochi giorni e l’obiettivo è stato ampiamente raggiunto e superato. Andate a darci un’occhiata, anche perché quando un lavoro viene impostato così bene merita sempre.

Ah, ve l’ho mai detto che sono un antropologo?

P.S. Tutte le immagini sono prese da BGG.

Se questo articolo ti è piaciuto, dai un’occhiata anche a: Die of the Dead. Ovvero: dell’appropriazione culturale

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Nicola Patti

Suo nonno e i suoi amici si mettevano davanti casa per giocare a briscola fino a notte. Lui voleva giocare con loro. E così è iniziato il suo amore per i card games. E poi giochi da tavolo, giochi di ruolo, giochi di ruolo dal vivo, videogames. Se solo non fosse uno dei peggiori strateghi e tattici sulla faccia della terra, se solo avesse voglia di leggere i regolamenti, se solo non fosse sfigato con i dadi sarebbe un ottimo giocatore. Da sempre sostiene che morire giocando è il secondo miglior modo per morire.

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